(IVd) Conclusioni
Dove esiste una sovrabbondanza che addormenta e distrae e quando le più grandi risorse della società, i giovani, diventano le vittima del marketing e non un potente strumento d'utilizzo sociale; quando la società non sa di che farsene, quando ogni progetto o speranza giovanile viene stroncato in partenza dalla grave condizione d'insicurezza e di precarietà; quando si fatica a trovare un solo punto di riferimento che non sia l'omologazione assillante che elimina la propria identità, allora diventa molto difficile non adeguarsi o fuggire altrove. Ma non si può sacrificare l'infinita bellezza e l'enorme valore dell'uomo, a nessun prezzo: è necessario trovare la forza per ricercare e ritornare alla verità perduta, iniziando ad opporsi al conformismo generale che porta alla disperazione e al nulla; iniziando a costruire e vivere le relazioni in maniera autentica fornendo tempo e spazio alle persone e abbattendo quel muro fittizio che divide; iniziando davvero a dar espressione alle proprie capacità e al proprio essere facendo qualcosa che esprima, che crei, che piaccia, e non uccidere il tempo a disposizione dietro a cose inutili, odiose e alienanti; iniziando a togliersi da quell’isolamento borghese egoistico e vivere esperienze di solidarietà e fraternità; in generale, cominciando davvero col svegliarsi da questo assopimento e ascoltare attentamente quel vuoto dentro di sè per iniziare a compiere quella ricerca incondizionata che miri al significato e alla maturazione e che ricostruisca se stessi e l'esterno.
Nonostante quest’era della tecnica abbia tentato in tutti i modi di dire addio e di abbandonare con ogni sforzo il valore e l’importanza della “coscienza umana” e della formazione di un’identità, il grande malessere e l’infinito bisogno di senso danno prova di come in realtà sia impossibile sbarazzarsene. Solamente attraverso lo sforzo e la ricerca, come l’artista che inventa, si potrà ridar forma a qualcosa di nuovamente bello e vivo, una nuova morale. E’ la mentalità fossilizzata nel realismo, il più delle volte “filistea”, che troppo spesso cancella quello che può essere la diversità e l’innovazione, conservando solo quel gelido conformismo senza via d’uscita. A questo punto si tratta di riprendere le redini della propria vita e della propria identità o di finire nell’abisso del vuoto, del nulla, del nichilismo.
“Perché ci lagniamo della natura? Si è comportata generosamente: la vita, se sai usarne, è lunga. Uno è in preda a un’avidità insaziabile, uno alle vane occupazioni di una faticosa attività; uno è fradicio di vino, uno è abbruttito dall’ozio; uno è stressato dall’ambizione, che dipende sempre dai giudizi altrui, uno dalla frenesia del commercio è condotto col miraggio di guadagni di terra in terra, di mare in mare; alcuni, smaniosi di guerra, sono continuamente occupati a creare pericoli agli altri o preoccupati dei propri; c’è chi si logora in una volontaria schiavitù, all’ingrato servizio dei potenti; molti non pensano che ad emulare l’altrui bellezza o a curare la propria; i più, privi di bussola, cambiano sempre idea, in balìa di una leggerezza volubile e instabile e scontenta di sè; a certuni non piace nessuna meta, a cui dirigere la rotta, ma sono sorpresi dalla morte fra il torpore e gli sbadigli, sicchè non dubito che sia vero ciò che in forma di oracolo si dice nel più grande dei poeti:
. Sì: tutto lo spazio rimanente non è vita, ma tempo. Incalzano e assediano i vizi da ogni parte e non li lasciano risollevarsi o alzare gli occhi a discernere il vero, ma col loro peso li tengono sommersi e inchiodati al piacere. Non hanno mai la possibilità di rifugiarsi in se stessi; se gli tocca per caso un momento di riposo, come in alto mare, dove anche dopo la caduta del vento continua l’agitazione, ondeggiano e non trovano mai pace dalle loro passioni. Credi che io parli di costoro, i cui mali sono alla luce del sole? Guarda quelli, la cui fortuna fa accorrere la gente: sono soffocati dai loro beni. Per quanti le ricchezze sono un peso! A quanti fa sputar sangue l’eloquenza e la quotidiana ostentazione del proprio ingegno! Quanti sono terrei per continui piaceri! A quanti non lascia respiro la calca dei clienti! Insomma, passa in rivista tutti costoro dai più piccoli ai più grandi: questo chiede assistenza, questo la dà, quello è imputato, quello difensore, quello giudice, nessuno rivendica per sé la sua libertà, ci si logora l’uno per l’altro. Informati di costoro, i cui nomi s’imparano a mente, e vedrai che si riconoscono a tali segni: questo corre dietro a quello, quello a quell’altro, nessuno appartiene a se stesso. E poi che c’è di più insensato dello sdegno di certuni? Si lagnano della boria dei potenti, che non hanno tempo di riceverli. Ha il coraggio di lagnarsi dell’altrui superbia uno che non ha mai tempo per sé? Lui almeno, chiunque tu sia, ti ha rivolto uno sguardo, sia pure con aria arrogante, lui ha abbassato l’orecchio alle tue parole, lui ti ha messo al suo fianco: tu non ti sei degnato di guardare dentro di te, di ascoltare te. Non hai dunque ragione di rinfacciare ad alcuno cotesti servigi, giacchè li hai resi non per il desiderio di stare con altri, ma per l‘impossibilità di stare con te stesso.”
Seneca, “De brevitate vitae”
BIBLIOGRAFIA: U.Galimberti, I.Mancini, V. Mathieu, E.Severino e A.Rovatti. P.P.Pasolini, Appunti di Sociologia.